Monte Cavallo e monte Forcellone

Tanta neve e grandi panorami sulle Mainarde

La giornata ormai ricorrente pensata, voluta e costruita da Diego dedicata a “Zi’ prete”, al secolo Padre Rosin, si è consumata brillantemente sul Monte Cavallo e sul dirimpettaio Monte Forcellone. Programmata per il 25 Aprile già da un paio di mesi è caduta nell’unica finestra di bel tempo che le ultime tre settimane ci hanno riservato. Forse che “Zi prete” non abbia aiutato o condizionato gli elementi pur di farci ritrovare in sua memoria nei luoghi a noi e a lui cari? Ognuno la pensa come vuole ma sicuramente ognuno di noi avrà per un attimo compiuto questa associazione di idee. Fatto sta che quando sono uscito di casa alle quattro di mattina il cielo era stellato e la giornata si preannunciava tiepida. Alle cinque ho raccolto Alessandro ed Elena al solito appuntamento della Rustica e dopo quindici minuti anche Diego al casello di Tivoli. Con un minimo di ritardo siamo giunto al casello di Anagni dove ad aspettarci c’erano Max, Mauro, Giorgio Minella e la sua ragazza Ilaria. Rispetto allo scorso anno l’appuntamento dedicato alla riflessione e alla memoria di padre Rosin si infoltiva di aderenti segno che l’iniziativa di Diego stava avendo successo. Filando per le inconsuete strade del frusinate dopo la sempre piacevole e ristoratrice sosta al solito bar di Sora cominciamo ad arrampicarci da Picinisco per i tornanti verso Prato di Mezzo che sono da poco passate le 7 del mattino. Alle 8 siamo pronti a partire per affrontare i nostri 11 chilometri di percorso previsti ed il dislivello parziale di circa 600 metri, ma una prima presentazione della giornata prevista da Diego e un dibattito subito accesosi sulla vera o presunta libertà di cui gode l’uomo hanno ritardato i primi passi di una buona mezz’ora. Ci siamo diretti, attraversando Prato di Mezzo sulle modeste piste da sci che dividono la Costa dell’Asino da quella delle Cicogne e salendo gradualmente i primi pendii siamo sbucati al cospetto dell’ampia radura che anticipa le montagne. Sullo sfondo, incastonato in un cielo turchino la bianca mole del Monte Forcellone, sagoma appena conosciuta nella precedente nebbiosa esperienza di Gennaio. Ciò che ci si è parato davanti era una amena fotografia di un placido angolo di paradiso. Le dune erbose che salivano verso la montagna erano solcate da ruscelli che nascevano poco più a monte dai fronti delle nevi in lento ritiro; i confini irregolari dei prati che conquistavano territorio alle nevi invernali rendevano il paesaggio asimmetrico e irregolare. I contrasti tra il verde dei prati, il bianco delle nevi e l’azzurro del cielo purchè contrastanti davano una serenità ed una gioia intima; il frastuono delle acque di scongelamento che scivolavano a valle tra le piccole colline erbose rompevano gioiosamente il grande silenzio del luogo. Noi eravamo come bambini al cospetto di una sorpresa inaspettata ma gradita. Prendiamo le prime confidenze con il terreno dove spuntavano migliaia di crocus, con i corsi d’acqua poco profondi, con i primi passi sulla neve. E Diego decide di impostare la prima sosta. La montagna che era solo, questa volta, il teatro di qualcosa di più importante per noi era presente come la migliore delle quinte, come il migliore scenario in grado di predisporre cuore ed anima all’ascolto. Ripartiamo e dopo pochi passi sbuca all’orizzonte, sulla sinistra la sagoma del Monte Cavallo. Ormai il terreno è completamente innevato e si procede bene. Solo qualche chiazza di verde qua e là e tratti di ruscelli affioranti dai loro percorsi sotto le coltri nevose rompevano il candore della bianca distesa. Davanti a noi la pagina immacolata e ripida del Monte Cavallo. Attraversato il piano, sulle prime pendici del Cavallo, in prossimità di due formazioni rocciose dove d’estate nasce una fonte Diego ha predisposto la seconda sosta. Siamo sotto le rocce del cavallo a sinistra e quelle del Forcellone a destra. Sotto e davanti a noi la distesa appena percorsa. Che bel luogo per parlare, per sognare, per meditare, per stare da soli e in compagnia. Che bellissimo angolo di mondo! Certo non si può dire a Diego di non aver preparato bene la giornata anche nei minimi dettagli. Traiamo spunto dalle letture previste da Diego, ci confrontiamo anche con i silenzi di ciascuno e aprofittiamo del momento anche per ristorarci. Uno sguardo alle pendici del cavallo e decidiamo di attaccarlo sul lungo traverso sotto le rocce fino alla pagina ripida ma sicura che percorriamo ognuno con il suo stile. Chi atleticamente e spavaldamente prendendola in verticale assoluta, che per esigenze di fiato o poca esperienza tagliando ripetutamente il pendio. Tutti però molto agevolmente raggiungiamo la cresta al di sotto degli ultimi attacchi rocciosi in prossimità della vetta. Ultimo ad arrivare, dopo aver accompagnato Elena legata per sicurezza ad un cordino, dove gli altri stavano già sostando da minuti, chiedo informazioni sulla formazione del terreno dietro la roccia che ci dominava davanti a noi. Sopra era visibile una spavalda ed acuminata cresta con possibilità di cornici sporgenti, ma nell’immediato della roccia, alle sue spalle non era ben chiaro cosa dovessi aspettarmi. Appoggiandosi ai ricordi, ma solamente di periodi estivi, Diego consigliava di attaccare lo spigolo sulla sinistra; io però decidevo di fidarmi di più della mia impressione. A sinistra sembrava meno ripido ma l’uscita dallo spigolo non dava modo di pensare a tratti sicuri mentre a destra dello spigolo, pur affrontando una maggiore pendenza, avevo l’impressione che il percorso appoggiasse in piano sulla roccia stessa. Rompevo gli indugi e partivo seguito come un cagnolino al guinzaglio dalla fiduciosa Elena. Il breve tratto di attacco allo spigolo roccioso si mostrava subito ostico; per la pendenza forse più accentuata di tutto il percorso e soprattutto per l’inconsistenza dello strato nevoso. Mi sono ritrovato con la neve fino all’inguine e ho dovuto faticare per uscire; ho guidato Elena sulla sinistra più vicino alle rocce pregandola di guardare solo davanti e sopra di noi. Più della neve e della pendenza temevo una presa di coscienza di Elena sul luogo dove si trovava. Per fortuna la salita è il terreno che più si confà ad Elena, ed una volta uscito dalla trappola della neve inconsistente siamo sbucati sopra lo spigolo roccioso. Non c’era che dire, avevamo appena percorso un tratto affascinante con delle posizioni leggermente scoperte e su un pendio accentuato; godere n sicurezza di quel momento era come dare valore aggiunto alla felicità che si prova in prossimità della vetta. Non rimaneva che percorrere un breve tratto di cresta , forse meno di cento metri e saremmo giunti in vetta. Lentamente tutti affrontavano il tratto ripido dello spigolo, tutti evitando i tratti dove ero rimasto sprofondato fino alla cintola. Una breve perlustrazione del percorso che avevamo davanti per rassicurare della fattibilità dell’ascesa e riprendevo Elena e Alessandro per continuare la salita. Il tratto più aereo e spettacolare della giornata era sotto i nostri piedi. Cresta affilata prima e cornice sporgente da evitare; tratti misti di roccia e neve dove qualche primo grado da affrontare aggiungeva divertimento alla giornata e alle 11,30 toccavamo le roccette di vetta. Solo lì ho scoperto che Mauro aveva preferito scendere per non affrontare lo spigolo: lo avremmo ripreso sulla sella sottostante. In vetta il vento era assente, il sole a picco e l’alta temperatura consentivano di spogliarsi e rimanere in maniche corte. Seduti sulle pietre ci siamo lasciati andare al meritato riposo e alla prevista sosta riflessiva. Poi ha dominato l’allegria, condita da cibo e bevande, anche alcoliche devo dire, del sorprendente Giorgio. Siamo rimasti a lungo a godere del clima fantastico del momento; le Mainarde intorno a noi erano ovunque; ero ingordo di conoscere il territorio e di lasciarmi andare a future spedizioni. Foto, foto e ancora foto alle montagne e a noi per ripartire intorno alle 12,20 alla volta della vetta prospiciente del Forcellone. Una lunga discesa di circa duecento metri di dislivello su una candida e ripida pagina di montagna sepolta da neve ormai ridotta a pappa ci portava all’incontro con Mauro sulla sella dei due monti. Un’altra sosta prevista da Diego, ancora più interessante e ancora più motivata delle altre dove Ilaria è stata molto chiara nel sintetizzare il perché della normalità del pensiero buonista di oggi. Poi un incontro con una bella coppia di genitori che ha saputo condurre fin lì, sugli sci e con gioia, i due figli non più grandi di otto e dieci anni. Un bell’esempio di come far crescere e coltivare l’amore per la natura e per il mondo. Riprendiamo la salita al Forcellone mentre il cielo comincia a coprirsi di nuvole. La salita su fianco est del Forcellone è una costante e lenta progressione su una neve più consistente. Lentamente procedo in solitaria anticipando il gruppo. Percorso privo di pericoli mi permetteva di procedere col mio ritmo e lo facevo con costanza fino a superare di slancio tutti i vari gradini da cui la montagna era formata. Mano a mano , anzi è meglio dire piede a piede che salivo riconoscevo o credevo di conoscere i tratti della montagna che avevamo percorso a Gennaio. L’ultimo più ripido tratto mi potava ad uscire in cresta sulla piatta vetta della montagna, ma purtroppo in preda ad un fastidioso e fresco vento. La croce che sormontava instabilmente un ometto di pietre era quasi sommersa dalle pietre stesse. Alle 13, 20 ritoccavo la piccola croce metallica per la seconda volta. Dieci minuti prima dell’arrivo di Mauro e via via di tutti gli altri. Il panorama che finalmente si apriva davanti era immenso. Rocca Altiera sopra e dietro Prato di Mezzo ben visibile, in mezzo la intuibile presenza della Val Canneto. E poi la Meta, la vetta più alta del gruppo delle Mainarde e scorrendo verso sud le costanti elevazioni della lunga catena composte dalla Metuccia, da Monte a Mare, dalle Coste dell’Altare, dal Cappello del Prete e ancora più a sud da Monte Mare, Monte Ferruccia e Monte Marrone. Tutte sotto una ancora abbondante coltre nevosa. Il tempo di alcune foto di gruppo, di due risate di complicità per il traguardo raggiunto che cominciamo a desiderare di lasciare la cima e spostare più in basso il luogo previsto per una nuova sosta di riflessione. Il vento si faceva sentire sempre più fresco e più sferzante. Via via tutti abbiamo dato fondo alle nostre scorte di vestiario; non rimaneva che alzare i tacchi e volgere lo sguardo verso casa. Velocemente , in discesa, tra giochi, corse e scivolate sui candidi paginoni nevosi ci siamo abbassati di quota. Sulle ultime creste prima di affrontare il discesone finale ci siamo fermati per la sosta prevista in vetta. Ancora letture, ancora scambi di opinioni mentre molti cominciavano a guardare gli orologi che inesorabilmente scorrevano e le nubi che a questo punto promettevano solamente pioggia certa. Ci muoviamo verso la valle ma mancava da superare un infido tratto, molto ripido e con neve non proprio sicura. Lentamente, di traverso, scendiamo tutti. Giorgio ha accompagnato Elena ancora un po’ in difficoltà nei tratti in discesa fino ai limiti della neve. Poi solo sfasciume fino a giungere quasi a valle dove rincontravamo il ruscello di scongelamento contornato da ancora più numerosi crocus. Attraversiamo il tratto tra il monte e il bosco lentamente, a gruppi di poche unità, parlando tra noi; prendiamo ad attraversare il bosco per puntare verso il vecchio campo base delle scorribande estive di Padre Rosin. L’intenzione era quella di consumare l’ultima riflessione intorno al vecchio altare del campo, ma l’ora tarda, erano già le 18, mi imponevano di sollecitare Diego ad una certa solerzia e a scegliere un luogo più vicino del campo. Diego e gli altri solerti nel riconoscere il lungo viaggio di ritorno che spettava ai romani del gruppo sceglievano un poetico angolo di rocce al centro di pochi maestosi faggi. Intorno all 18,30 eravamo alle auto. Giorgio in ritardo perché ha voluto far conoscere ad Irene i luoghi tante volte raccontati della sua gioventù. Il tempo di darci una risistemata e scappare per Roma; un viaggio lungo e probabilmente lento ci aspettava. In macchina abbiamo rivissuto i tanti momenti della giornata e si è continuato ad approfondire argomenti trattati nelle varie soste compresa una visione citata in una lettura di Hobbes. Con Diego non mi trovavo in sintonia su una citazione; ci siamo ripromessi di approfondire l’argomento. Rimaneva comunque l’entusiasmo per la giornata passata e per l’atmosfera costruttiva di amicizia e condivisione che avevamo vissuto. Le Mainarde sono affascinanti e ampie. Le giornate dedicate a “Zi Prete” si ripeteranno ancora e l’augurio che ci facciamo e con cui lasciamo Diego al casello di Tivoli è quello di percorrere, uno dopo l’altro, tutti i crinali di questo entusiasmante angolo di montagna. Alle 21 lascio Alessandro ed Elena alla Metro della Rustica e alle 21,40 apro il portone di casa. Stanco e davvero tanto tanto felice.